Omelia di S.Ecc. mons. Mario Delpini, Vicario Generale Diocesi di Milano
22 ottobre 2014 – prima memoria liturgica di San Giovanni Paolo II – Basilica di San Nazaro Maggiore – Milano
Amare di più: e se provassimo con l’esagerazione?
Viene da domandarsi quale sia la misura per la vita cristiana.
Fa parte della sapienza antica raccomandare la misura media (in medio stat virtus): come per dire che la perfezione è l’equilibrio, trovare il giusto mezzo, evitare gli eccessi. È la via percorsa da tanti saggi che sanno mantenere l’equilibrio dell’umore, senza lasciarsi andare allo scoraggiamento e senza lasciarsi trascinare all’esaltazione, sanno perseguire l’equilibrio del giudizio, evitando l’estremismo di destra o di sinistra, sanno darsi una disciplina dell’ascesi, senza eccedere nell’austerità né lasciandosi andare a una vita gaudente.
Forse fa parte dell’astuzia moderna il minimalismo: il più furbo è quello che si espone di meno, il più avveduto è quello che cerca il risultato migliore con il minimo sforzo. Chi vive meglio è quello che se ne sta in disparte, che non affronta fatiche che non siano necessarie. I grandi sogni sono diventati sospetti come le ideologie, abita la terra un popolo dai desideri minimi, dalle prospettive limitate, disposto ad accontentarsi di imprese domestiche e a proiettare l’eroismo nel virtuale.
La celebrazione della memoria di san Giovanni Paolo II insinua una provocazione, come se ci venisse detto: e se la misura giusta della vita cristiana fosse l’esagerazione? Non certo quelle forme di eroismo titanico che si nutre di orgoglio e di protagonismo.
Piuttosto la parola del Vangelo ci suggerisce di entrare nella logica dell’amare di più, di esagerare nell’amore, per credere che anche l’amore più grande è disponibile anche a farsi perdonare la propria viltà e il proprio tradimento, come Pietro testimonia. L’amore più grande si dispone a fare della propria vita un dono, un servizio alla gente che il Signore ama, a queste pecore perdute che attendono un pastore. Tutte le vocazioni hanno come sostanza l’amore, ma c’è per ciascuno quel momento in cui il Signore chiede di amare di più, quando l’amore rivela le sue ferite, attraversa le sue solitudini, soffre di non sentirsi mai ricambiato abbastanza. San Giovanni Paolo II ha vissuto il suo ministero, fino a quello di successore di Pietro, sempre con questo stile di dedizione senza risparmio, nei pericoli, nei viaggi, nelle tribolazioni della salute, nell’affrontare le contestazioni e nel portare il peso del ministero fino a esserne schiacciato.
Piuttosto la parola del Profeta invita a entrare nella logica dell’esultanza: non quel tono scherzoso che si usa per ridere di tutto, quel buon umore artificioso che si compiace della battuta brillante, quell’ottimismo di facciata che copre il vuoto e la disperazione. Le sentinelle alzano la voce, insieme esultano. Prorompete insieme in canti di gioia. Forse l’umile e grata pratica dell’esultanza è l’esagerazione che è diventata più rara nel nostro tempo un po’ depresso e scoraggiato. Ma la testimonianza di san Giovanni Paolo II invita ed esorta: aprite, spalancate le porte a Cristo, non vi porta via niente, vi dà tutto. Il segreto della gioia non è nelle condizioni favorevoli in cui ci si può trovare, ma è l’accoglienza del regno, della consolazione di Dio. Esagerate nella gioia!
Piuttosto la testimonianza di san Giovanni Paolo II invita a entrare nella logica del “prendere il largo”, di appassionarsi alla vocazione alla santità come misura alta della vita cristiana: “È ora di riproporre a tutti con convinzione questa « misura alta » della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione. È però anche evidente che i percorsi della santità sono personali, ed esigono una vera e propria pedagogia della santità, che sia capace di adattarsi ai ritmi delle singole persone. Essa dovrà integrare le ricchezze della proposta rivolta a tutti con le forme tradizionali di aiuto personale e di gruppo e con forme più recenti offerte nelle associazioni e nei movimenti riconosciuti dalla Chiesa” (Novo Millennio Ineunte, 31).
Piuttosto tutto il magistero di san Giovanni Paolo II si può forse riassumere nell’introdurre la Chiesa nel nuovo millennio come in una nuova missione, sostenuta dalla presenza, dal mistero e dalla parola di Gesù: “All’inizio del nuovo millennio, mentre si chiude il Grande Giubileo in cui abbiamo celebrato i duemila anni della nascita di Gesù e un nuovo tratto di cammino si apre per la Chiesa, riecheggiano nel nostro cuore le parole con cui un giorno Gesù, dopo aver parlato alle folle dalla barca di Simone, invitò l’Apostolo a « prendere il largo » per la pesca: « Duc in altum » (Lc 5,4). Pietro e i primi compagni si fidarono della parola di Cristo, e gettarono le reti. « E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci » (Lc 5,6).
Duc in altum! Questa parola risuona oggi per noi, e ci invita a fare memoria grata del passato, a vivere con passione il presente, ad aprirci con fiducia al futuro: « Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre! » (Eb 13,8).
Grande è stata quest’anno la gioia della Chiesa, che si è dedicata a contemplare il volto del suo Sposo e Signore. Essa si è fatta più che mai popolo pellegrinante, guidato da Colui che è « il Pastore grande delle pecore » (Eb 13,20)” (Novo Millennio Ineunte, 1).
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