22.10.2018 – L’omelia del Vicario generale Franco Agnesi

“VEDRAI COSE PIU’ GRANDI DI QUESTE”
Omelia del Vicario Generale della Diocesi di Milano, S. Ecc. Mons. Franco Agnesi, nella memoria liturgica di S. Giovanni Paolo II
Basilica di S. Ambrogio in Milano, 22 ottobre 2018

“Vedrai cose più grandi di queste”. Con parole simili l’Arcivescovo mi ha incoraggiato a venire a celebrare questa eucaristia al suo posto. “Vedrai cose belle”. E le stiamo gustando tutti insieme, cose che magari puoi anche non immaginare. Forse perché sono alimentate da giovani, giovani adulti. Questo ci fa guardare con fiducia al cammino di Chiesa, come ci ricordava anche l’Abate, monsignor Faccendini, nel Sinodo che si sta svolgendo. Anche da parte mia un saluto a tutti voi in questa celebrazione, in cui nella memoria di san Giovanni Paolo II abbiamo potuto gustare, nella parte di Veglia, questo suo sguardo, desiderio, forte richiamo a respirare davvero “con due polmoni”, per poter camminare insieme.

La parola di Dio che la liturgia di questo giorno ci propone può accompagnarci ora nel motivo di ringraziamento, e nella ricerca di un passo che riguardi la nostra vita, per intercessione di San Giovanni Paolo II. “Vedrai cose più grandi di queste”. Questa parola di Gesù è rivolta a Natanaele, ma è rivolta anche ai suoi discepoli, è nel Vangelo e dunque è rivolta anche a noi. Hai visto che Giovanni aveva alcuni discepoli, e a due di loro indicò l’Agnello di Dio, e lo seguirono, stettero con lui, in quelle “quattro del pomeriggio”. Poi questi due sono diventati tre, perché uno dei due, Andrea, andò da suo fratello Simon Pietro e lo invitò a vivere la stessa esperienza di incontro con Gesù. Poi divennero quattro, perché Gesù trovò Filippo. E ancora, poi divennero cinque perché Filippo a sua volta incontrò Natanaele e lo chiamò, lo invitò, passando anche attraverso il suo scetticismo, forse anche un po’ attraverso la sua paura, la scarsa considerazione che poteva avere di sé. “Vedrai cose più grandi”: perché Natanaele in particolare, ma non solo lui, ha visto di essere stato riconosciuto, di essere stato capito, compreso, e questo ha rotto le sue difese, questo ha fatto sgorgare dal suo cuore anche un po’ un eccesso di parole, ma che nasceva dalla verità. Si è sentito amato, compreso, incoraggiato, si è sentito capito come mai gli era capitato. Ma vedrete cose più grandi di queste: perché ha visto, hanno visto, che il Vangelo si diffonde per contagio, per passaparola. Poi dalla parola il Vangelo si diffonde, si comunica, con l’esempio della vita, con l’esperienza concreta: vieni, vedi. E poi il Vangelo si diffonde quando viene accolto nel cuore, con fede. Natanaele non ricorda più Filippo, ma ricorda Gesù. Filippo ricorda Gesù. Anche Andrea, anche Giovanni, non ricordano più al primo posto il Battista, ma Gesù, Cristo stesso. Hanno visto che il cammino è fatto di luci ed è fatto anche di ombre, di giorni e di notti, di sole e di tenebre. Ma hanno compreso che questo cammino è grande e forse proprio attraverso i momenti difficili appare la grandezza del cammino.

E’ stato evocato giustamente il cammino che la nostra chiesa sta compiendo, il cosiddetto “Sinodo minore”, per comprendere in che modo oggi nelle nostre terre essere chiesa cattolica, ed esserlo davvero, in un contesto nuovo. Diceva il nostro Arcivescovo proprio in questa Basilica iniziando il cammino sinodale: “Lo Spirito consolatore abita in tutti, perché non ci lasciamo cadere le braccia: non siamo una casa di accoglienza ben organizzata che concede generosa ospitalità ai passanti, siamo un popolo in cammino, una casa in costruzione, una fraterna convivenza che vive un tempo di transizione che riguarda tutti e tutto. La secolarizzazione e l’emarginazione del pensiero di Dio e della vita eterna, la situazione demografica, l’evoluzione della tecnologia, la problematica occupazionale, la liquidità dei rapporti affettivi, l’interazione tra culture, etnie, tradizioni religiose e tanti altri aspetti contribuiscono a rendere complessa la domanda: come deve essere la nostra Chiesa per essere fedele alla volontà del suo Signore?”.
E rispondeva, avviando il nostro cammino: “Verso le genti che abitano nelle nostre terre i discepoli del Signore continuano ad essere in debito: devono annunciare il Vangelo! Devono mettersi a servizio dell’edificazione della comunità che sia attraente come la città posta sulla cima della montagna. Tutti i discepoli del Signore hanno il compito di essere pietre vive di questo edificio spirituale, tutti! Se parlano altre lingue in modo più sciolto dell’italiano, se celebrano feste e tradizioni più consuete in altri paesi che nelle nostre terre, se amano liturgie più animate e festose di quelle abituali nelle nostre chiese, non per questo possono sottrarsi alla responsabilità di offrire il loro contributo per dare volto alla Chiesa che nasce dalle genti per la potenza dello Spirito Santo”.

In qualche modo i due polmoni dati a San Giovanni Paolo II sono compresi in questo sguardo, nella necessità che si respiri davvero insieme, nella necessità che il cammino comune che tutti stiamo compiendo ci fa scoprire un segreto, una legge: per camminare tutti verso la meta della città che discende dal cielo, del Regno che è preparato per noi, per raggiungere e camminare verso questa meta, bisogna imparare a camminare gli uni verso gli altri.

Questo è quanto stiamo scoprendo. O che qualche volta facciamo fatica a scoprire, allora vorremmo raggiungere da soli la meta. No, noi possiamo raggiungere la meta camminando insieme, se camminiamo gli uni con gli altri, se ci incontriamo gli uni con gli altri. E allora la bellissima pagina della seconda lettera di Giovanni, che leggiamo forse soltanto in questa occasione durante la liturgia, e forse ci è meno congeniale di altri passi dell’apostolo Giovanni, ci ricorda proprio lo sguardo che il presbitero ha nei confronti di queste due “signore”, queste due Chiese, quella da cui scrive e quella a cui scrive. Due signore, due Chiese che possono esprimere e realizzare l’amore reciproco. Come è possibile? È possibile innanzitutto, dice il presbitero, se ci ricordiamo con certezza che Gesù è presente, è li. La Verità ci sta guidando, la verità è Gesù, è la vicenda di Gesù, la storia di Gesù, la sua presenza guida il cammino dell’amore reciproco. Ancora, è la scoperta che questo dono è anche un compito, e diventa compito essenziale per non stancarci, per non cadere vittima di uscite da noi stessi, di strade che non portano a nulla. Ecco la durezza della parola “anticristo”: è colui, coloro che negano l’incarnazione, cioè che il Signore c’è e che l’umanità è trasformata, redenta dalla sua presenza; questo porta a fughe spiritualiste, oppure alla ricerca di chissà quali altri idoli. Ecco, soltanto vivendo, sperimentare il cammino gli uni verso gli altri può consentire di camminare insieme con fiducia. E poi però, suggerisce il presbitero – e penso che dietro questa figura ci possano essere tanti testimoni della fede e pastori della Chiesa,  questa sera certamente ricordiamo San Giovanni Paolo II – dice il presbitero, non voglio soltanto scrivere: sì, scrivere va bene, vi scrivo, non potevo fare altro, però non è la carta e l’inchiostro che contano, conta il fatto che penso di venirvi a trovare, che voglio venire da voi, voglio parlare a ciascuno di voi a viva voce, voglio incontrarvi. E questo è bellissimo, e questo sta accadendo anche stasera, in un modo semplice, bello, simpatico, ma vero. Sta accadendo che se ci guardiamo negli occhi, se ci parliamo, se ci incontriamo, possiamo anche noi scrivere qualche pagina che rende possibile, trasmissibile, un cammino reciproco, un respiro nuovo, il far diventare anche il sogno dei fondatori dell’Europa un sogno che passi per noi, pure attraverso il cambiamento avvenuto e le situazioni nuove che stiamo attraversando. Grazie a voi, giovani adulti di Milano per Giovanni Paolo II, che ci date  questo incoraggiamento e ci sostenete nel cammino che tutti possiamo compiere.