CHIAMATI ALLA SANTITA’
Trascrizione dell’omelia pronunciata dall’Arcivescovo di Milano Mario Delpini il 22 ottobre 2021 presso la Basilica di Sant’Ambrogio, durante la celebrazione dell’ottava ricorrenza liturgica di San Giovanni Paolo II
Da dove viene l’azzardo, l’azzardo di queste donne che stavano con Gesù e andavano con lui per città e villaggi? Da dove viene questo azzardo di seguire un rabbi che non ha una pietra su cui posare il capo, che in alcune città viene accolto e circondato da una folla di miserabili oppressi da malattie infermità e in altre città viene respinto come indesiderato perché il suo passaggio è una provocazione e un danno per l’economia locale (come quella volta che ha portato ad affogarsi nel lago la mandria dei maiali)? Questo rabbi pericoloso. Che cosa ha convinto queste donne all’azzardo di seguirlo? E queste donne, presumibilmente benestanti che godevano delle sicurezze, che occupavano posizioni di prestigio, dove hanno trovato motivo per azzardarsi a far parte di una comunità nomade come quella di Gesù e dei suoi Dodici?
E da dove viene l’audacia, l’audacia di decidere una sequela, di sfidare pregiudizi, di investire risorse e attese su un’impresa arrischiata come quella di Gesù, un predicatore spesso in polemica con i sommi sacerdoti, con gli scribi, con i farisei e con i sadducei, insomma con tutte le autorità del popolo? E queste donne ben introdotte tra i potenti del momento, non estranee alla corte di Erode, come hanno trovato l’audacia di unirsi a un profeta evidentemente destinato alla sconfitta e continuamente esposto all’impopolarità?
E da dove viene la perseveranza, da dove viene la decisione di seguire Gesù, non solo di entusiasmarsi per un discorso o per un prodigio inaudito che guarisce un cieco, o libera un ossesso, o offre pane in abbondanza alla gente nel deserto, non solo per un momento di entusiasmo, ma per decidere una sequela? Da dove viene la costanza di rimanere con lui non solo nei giorni trionfali dell’ingresso in Gerusalemme ma anche nei giorni desolati, quando tutti hanno abbandonato Gesù? Come dice il Vangelo: tutti i conoscenti e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea stavano da lontano a guardare tutto questo, lo spettacolo della Croce, mentre i discepoli erano fuggiti. Da dove viene questa costanza, questa tenacia?
E da dove viene l’umiltà di servire, da dove viene quella premurosa e generosa disponibilità che il Vangelo annota: lo servivano con i loro beni. Si può presumere che fossero donne abituate a essere servite. Come è avvenuto che si siano messe a servire, mentre i discepoli, a quanto risulta, erano presi da rivalità interne e discutevano su chi fosse da considerare il più importante; come mai le donne invece servivano, a quanto pare senza discussioni?
Il Vangelo aiuta a rispondere a queste domande e a interpretare la vicenda di queste donne di Galilea. E dice una cosa sola, il Vangelo, a questo proposito: erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità.
Se dunque voi chiedete da dove viene l’umiltà che serve, da dove viene la tenacia perseverante, da dove viene l’audacia nell’affrontare ostilità e le sfide, da dove viene l’azzardo delle scelte per seguire Gesù; trovate una sola risposta: la gratitudine, la riconoscenza. Sono state guarite, riconoscono che la loro vita è stata salvata da un dono e perciò hanno intuito che il senso del tutto è la logica del dono. Sono state amate, perciò possono amare, sono state beneficate, perciò possono far del bene, sono state salvate perciò la loro vita è al sicuro, Dio se ne prende cura e perciò possono osare, possono lasciare la loro condizione privilegiata o la loro condizione desolata e vivere, vivere per servire, vivere per seguire Gesù.
Dunque la ragione di tutte queste scelte è una sola: la gratitudine.
La riconoscenza per la grazia ricevuta, per la guarigione, per la liberazione dagli spiriti cattivi non si accontenta di un sentimento. L’atteggiamento di queste donne non è soltanto un dire grazie, un ricordarsi del bene che hanno ricevuto, ma piuttosto diventa una sapienza, e diventa una decisione.
Diventa una sapienza. Quando uno si chiede: io chi sono? la risposta che queste donne possono dare, che noi siamo chiamati a dare, è questa: io sono una persona salvata, sono un uomo, una donna guarita, sono libero perché sono stato liberato, sono libero, perciò posso fare il bene e non sono costretto a fare il male, non sono schiavo degli “spiriti cattivi” – che possono essere le abitudini diffuse, possono essere le tentazioni insidiose, possono essere le mentalità che impregnano la società – ma io sono libero, liberato; sono libero per la liberazione ricevuta, dunque per grazia; sono libero, perciò posso essere buono invece che cattivo, posso essere santo invece che mediocre, posso essere ardente invece che tiepido – questa cosa che ripugna a Dio secondo la parola dell’Apocalisse: tu non sei né freddo né caldo, magari tu fossi freddo o caldo, ma poiché tu non sei né freddo né caldo sto per vomitarti dalla mia bocca; sono libero, posso essere lieto invece che triste, posso cantare l’alleluia invece che seminare grigiore con il mio lamento.
Le parole di san Giovanni Paolo II e di tanti testimoni e maestri ascoltati nella veglia che ha preceduto la nostra celebrazione, ecco queste parole incoraggiano alla santità proprio perché ci rivelano chi siamo, ci fanno dono di una sapienza che dice la nostra verità. E la nostra verità è che noi, per quanto possiamo dire che abbiamo sbagliato, che non abbiamo le condizioni ideali, che siamo in una situazione complicata… ma la nostra verità è soltanto questa: siamo stati amati, siamo stati chiamati, siamo chiamati alla santità. Questa è la sapienza della vita, questa è la risposta alla domanda “ma io chi sono?”; e ciascuno può rispondere dicendo: io sono amato, io sono stato liberato, io sono stato chiamato alla santità.
La sapienza poi diventa una decisione. Le donne del Vangelo, come i Dodici e come i discepoli, non sono solo gente che sperimenta la liberazione dalla fatalità e dall’inerzia. Non solo ricevono la sapienza che viene dall’alto e che concede di conoscersi alla luce di Dio, ma riconoscono in Gesù il principio della loro salvezza. Perciò decidono di seguirlo e di vivere con lui, perché sanno che lui è la vite e noi siamo dei tralci. Perciò se non rimaniamo in lui diventiamo inutili, tralci secchi. E invece se siamo uniti a lui, rimanendo in lui, portiamo molto frutto, e un frutto che rimane. Un frutto che forse noi non possiamo neanche misurare e calcolare, di cui forse noi non possiamo neanche essere troppo fieri, che non constatiamo, per cui talvolta ci sentiamo condotti alla persuasione di essere inutili, di aver fallito… ma se rimaniamo in lui portiamo molto frutto. Il mondo non lo sa, noi stessi talvolta non lo sappiamo, ma il frutto è abbondante e rimane. Decidiamo di rimanere con lui.
Queste donne, queste donne che seguono Gesù, non sono un gruppo istituzionalizzato come i Dodici, che ricevono una chiamata, una qualifica, con questa dichiarazione di appartenenza di essere chiamati “i Dodici” – e diventeranno gli Apostoli, questo è il gruppo dei discepoli scelti da Gesù. Invece queste donne non sono un gruppo istituzionalizzato, di fatto non hanno ricevuto un ruolo, non sono incaricate di un ministero. In qualche modo, potremmo dire, sono “laiche”. Eppure proprio la prima di queste donne nominate nel Vangelo di oggi è la prima testimone della risurrezione, è lei che viene mandata da Gesù a dire agli apostoli: ho visto il Signore! Maria di Magdala, apostola degli apostoli, una donna senza incarichi istituzionalizzati nella Chiesa. E’ un gruppo che segue Gesù senza una precisa organizzazione. Ma loro sono quelle che portano l’annuncio Pasquale. Ecco, forse questo è un segno, forse è un segno anche per il nostro tempo, forse questo tempo è il tempo propizio per cui siano i laici a contagiare gli apostoli con la sapienza, con l’ardore, con la gratitudine, con il cantico dell’alleluia. Forse è il tempo in cui i laici, questi Christifideles Laici, non siano soltanto gente che deve ascoltare, gente che deve seguire, gente che deve essere docile, ma forse viene il tempo in cui i laici hanno un annuncio da offrire, anche ai preti, anche ai vescovi. Questa immagine della Chiesa sinodale, che papa Francesco raccomanda con tanta insistenza, non è l’invito ad appiccicare l’aggettivo “sinodale” a qualsiasi cosa, ma è piuttosto una vocazione ad essere gente che segue Gesù, che è grata a Gesù per il dono ricevuto, e che ha parole da dire alla Chiesa. Senza presunzione, e senza timidezza, con franchezza, senza arroganza. Forse queste donne del Vangelo, senza incarichi, senza ministeri, sono il segno che i Dodici hanno bisogno di persone, cioè di laici, che annuncino la risurrezione, hanno bisogno di persone che ardano d’amore perché la loro stanchezza, la paura, i complessi dei Dodici possano riscuotersi e possano accogliere lo Spirito.
Ecco, questa sera venerando un santo papa che ha tanto gridato per tutte le parti della terra questo invito ad accogliere Gesù, a spalancare le porte senza temere alla grazia del Vangelo, forse questa sera noi possiamo riconoscere di essere chiamati tutti alla santità e ritrovare un nuovo slancio.
Perché tutti siamo chiamati ad annunciare che Gesù è vivo, che Gesù è risorto, che la sua presenza ci riempie di gioia, tutti siamo chiamati a unirci al cantico dell’alleluia.