VARCARE INSIEME LA SOGLIA DELLA SPERANZA
Santa Messa nell’undicesima Memoria Liturgica di san Giovanni Paolo II
22 ottobre 2024 – Basilica di Sant’Ambrogio, Milano
IL PUNTO DI PARTENZA
Traggo il punto di partenza dal manifesto con cui avete annunciato questa celebrazione, citando le parole di Giovanni Paolo II nell’Udienza Generale 11 novembre 1998:
«Molti pericoli sembrano incombere sul futuro dell’umanità e tante incertezze gravano sui destini personali, e non di rado ci si sente incapaci di fronteggiarli. Anche la crisi del senso dell’esistere e l’enigma del dolore e della morte tornano con insistenza a bussare alla porta del cuore dei nostri contemporanei. Il messaggio di speranza che viene da Gesù Cristo illumina questo orizzonte denso di incertezza e di pessimismo. La speranza ci sostiene e protegge».
Questo messaggio di speranza fu l’anima del suo santo pontificato, sin dalle prima parole con cui entusiasmò, quasi gridando appassionato la sua omelia per l’inizio solenne del Ministero Petrino il 22 ottobre 1978, quel grido profetico: «Non abbiate paura!»:
«O Cristo, fa’ che io possa diventare ed essere servitore della Tua unica potestà! Servitore della Tua dolce potestà! Servitore della Tua potestà che non conosce il tramonto! Fa’ che io possa essere un servo! Anzi, servo dei Tuoi servi! […] Fratelli e Sorelle! Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la Sua potestà! […] Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo! […] Alla Sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi della cultura, della civiltà, dello sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa c’è dentro l’uomo. Solo lui lo sa!»
Egli declinò questo suo grido, questo suo incitante entusiasmo lungo tutto il suo pontificato e lo consegna ancora a noi.
Ce lo disse il 20 ottobre 1985, incitando i giovani di Cagliari:
«Prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro».
Come farne un capolavoro?
«Non abbiate paura» del mondo
«Non abbiate paure del mondo». Ed egli lo mise in pratica subito, recandosi a Puebla nel gennaio 1979, quando disse ai vescovi:
«Dobbiamo confessare Cristo davanti alla storia e al mondo con convinzione profonda, sentita, viva, come lo confessò Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16).
Questa è la buona novella in un certo senso unica: la Chiesa vive mediante essa e per essa, così come ne trae tutto ciò che ha da offrire agli uomini, senza distinzione alcuna di nazionalità, cultura, razza, tempo, età o condizione».
«Non abbiate paura» dell’uomo
Fu l’incipit della sua prima enciclica, la programmatica, del 4 marzo 1979, la Redemptor hominis:
«Il Redentore dell’uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia».
Fu il suo grido, incamminandoci già da allora verso il Grande Giubileo del Duemila!
«Non abbiate paura« dell’amore
Proprio in quella enciclica programmatica egli disse:
«L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente. E perciò appunto Cristo Redentore rivela pienamente l’uomo all’uomo stesso» (n. 10).
La provvidenzialità del transito – come si chiama la morte dei santi – oggi di Mariacristina Cella Mocellin (1969 – 1995), che il 12 dicembre 1986 scrisse nel suo Diario:
«Io e te: compagni di cammino, non meta l’uno per l’altro! Due mani che si stringono, due cuori che si sfiorano, due vite che si incontrano! Io ti amo, tu mi ami: il nostro amore è contenuto nell’amore del nostro Dio: è per questo che vuol essere vero, saldo, puro, profondo».
Sono parole d’amore di questa nostra sorella e maestra, che possiamo definire la “Venerabile dell’amore”, perché ci richiama la bellezza dell’amore, che Dio ha infuso nel cuore di ogni essere umano e che Mariacristina ci ricorda nella profonda sua convinzione della bellezza dell’amore, che la richiamava, la incoraggiava, la sosteneva.
«Non abbiate paura» dell’incontro con tutti i credenti
Animato da questa certezza egli ci esortò e ci esorta a non temere il dialogo con tutti i credenti, quale che sia la loro religione, il volto di Dio che si è rivelato nella Sua sapienza perché tutti si incamminassero verso la verità del Suo volto divino che risplende in Cristo, unica «via, verità e vita» (GV 14,6).
Di qui il dialogo con i fratelli ebrei, con la storia visita alla comunità ebraica nella Sinagoga di Roma (13 aprile 1986).
Di qui il dialogo con gli anglicani, con i riformati, con gli ortodossi, con i musulmani.
Non finiremmo di citare i passi concreti compiuti per quel suo coraggio: la Dichiarazione anglicana su Il dono dell’Autorità (12 maggio 1999); cui subito seguì la Dichiarazione comune con i luterani sulla giustificazione (31 ottobre 1999).
Né possiamo dimenticare l’enciclica Ut unum sint (25 maggio 1995):
«Cristo chiama tutti i suoi discepoli all’unità. […] uniti nella sequela dei martiri, i credenti in Cristo non possono restare divisi. Se vogliono veramente ed efficacemente combattere la tendenza del mondo a rendere vano il Mistero della Redenzione, essi debbono professare insieme la stessa verità sulla Croce».
Era lo stesso coraggioso entusiasmo che ispirò le sue parole nell’affascinante incontro con i 50.000 giovani del Marocco (Casablanca, 19 agosto 1985), n. 4:
«I giovani possono costruire un avvenire migliore se pongono anzitutto la loro fede in Dio e se si impegnano ad edificare questo nuovo mondo secondo il piano di Dio, con sapienza e fiducia. Dio è fonte di ogni gioia».
Egli richiamava la gioia in quel tempo difficile, come forse sarà sempre il tempo della storia dell’uomo e della Chiesa.
Mai si scoraggiò e nel pieno delle molte guerre che insanguinarono e insanguinano ancora il mondo, il 27 ottobre 1986 realizzò la Giornata Mondiale di preghiera per la pace ad Assisi:
«Il trovarsi insieme di tanti capi religiosi per pregare è di per sé un invito oggi al mondo a diventare consapevole che esiste un’altra dimensione della pace e un altro modo di promuoverla, che non è il risultato di negoziati, di compromessi politici o di mercanteggiamenti economici. Ma il risultato della preghiera, […] Noi siamo qui perché siamo sicuri che […] c’è bisogno di preghiera intensa e umile, di preghiera fiduciosa, se si vuole che il mondo diventi finalmente un luogo di pace vera e permanente».
Pose le basi di quello che da allora è chiamato lo spirito di Assisi ripetuto ogni volta che le tenebre dell’odio avvolsero il mondo per l’insana prepotenza dei potenti di turno, come avvenne 25 dicembre 1990, per cercare ancora di scongiurare la 1° Guerra del Golfo, quando disse profeticamente: «La guerra è un’avventura senza ritorno»!
«Non abbiate paura» dei potenti di turno
«Non abbiate, dunque, paura» dei potenti di turno dal generale Jaruzelski, che cercò di sospendere le libertà civili in Polonia (3 dicembre 1981, al dramma misterioso delle Torri Gemelle di New York, quando di nuovo propose di tornare ad Assisi (24 gennaio 2002):
«per proclamare davanti al mondo che la religione non deve mai diventare motivo di conflitto, di odio e di violenza. Chi veramente accoglie in sé la parola di Dio, buono e misericordioso, non può non escludere dal cuore ogni forma di astio e di inimicizia. In questo momento storico, l’umanità ha bisogno di vedere gesti di pace e di ascoltare parole di speranza».
«Non abbiate paura» del dolore
Gli costò certamente molto dolore del cuore e forse fu questo il misterioso motivo per cui il dolore fisico si accanì sul suo corpo, debilitandolo oltre ogni umana impressione, ma senza fiaccare il suo coraggio, quasi perché mostrasse la verità di quanto aveva scritto nell’enciclica Salvifici doloris (11 febbraio 1984, n. 30), parlando ancora e anche del doloro come forma di amore:
«Queste parole sull’amore, sugli atti di amore, collegati con l’umana sofferenza, ci permettono ancora una volta di scoprire, alla base di tutte le sofferenze umane, la stessa sofferenza redentrice di Cristo. Cristo dice: “L’avete fatto a me”. […] Cristo allo stesso tempo ha insegnato all’uomo a far del bene con la sofferenza ed a far del bene a chi soffre. In questo duplice aspetto egli ha svelato fino in fondo il senso della sofferenza.
«Non abbiate paura del futuro!»
Ora, guardando al futuro e al prossimo Giubileo di Papa Francesco non possiamo non tornare con la memoria al Grande Giubileo che san Giovanni Paolo II attese e preparò per tutto il suo lungo pontificato e che è dello stesso pontificato la chiave di volta e la chiave ermeneutica.
Vorrei con voi riprendere le parole di entusiasta speranza che egli gridò nella sua debolezza ormai estrema ai giovani il 20 agosto 2000 a Tor Vergata:
«Sì, cari amici, Cristo ci ama e ci ama sempre! Ci ama anche quando lo deludiamo, quando non corrispondiamo alle sue attese nei nostri confronti. Egli non ci chiude mai le braccia della sua misericordia. Come non essere grati a questo Dio che ci ha redenti spingendosi fino alla follia della Croce? A questo Dio che si è messo dalla nostra parte e vi è rimasto fino alla fine? […]
Di questa testimonianza ha estremo bisogno la nostra società, ne hanno bisogno più che mai i giovani, spesso tentati dai miraggi di una vita facile e comoda, dalla droga e dall’edonismo, per trovarsi poi nelle spire della disperazione, del non senso, della violenza. E’ urgente cambiare strada nella direzione di Cristo, che è anche la direzione della giustizia, della solidarietà, dell’impegno per una società ed un futuro degni dell’uomo.
Questa è la nostra Eucaristia, questa è la risposta che Cristo attende da noi, da voi, giovani, […] Gesù non ama le mezze misure, e non esita ad incalzarci con la domanda: “Volete andarvene anche voi?”.
E continuò raccomandandoci la celebrazione eucaristica, come noi stiamo facendo:
«Mettete l’Eucaristia al centro della vostra vita personale e comunitaria: amatela, adoratela, celebratela […] Vivete l’Eucaristia testimoniando l’amore di Dio per gli uomini. […] Questo che è il più grande dono di Dio a noi, pellegrini sulle strade del tempo, ma recanti nel cuore la sete di eternità».
È comprensibile quel grido che ripresa da santa Caterina da Siena e che risuona oggi ancora vero per noi:
«Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo! (cfr. Lett. 368)».
«Andiamo avanti con speranza!»
Andiamo avanti con speranza, allora. Non è frase mia, ma ancora una volta parole sue, quelle che pose a conclusione della Lett. Ap. Novo Millennio ineunte (6 gennaio 2001), con la quale ci incamminò in questo Terzo Millennio Cristiano:
«Andiamo avanti con speranza! Un nuovo millennio si apre davanti alla Chiesa come oceano vasto in cui avventurarsi, contando sull’aiuto di Cristo. Il Figlio di Dio, che si è incarnato duemila anni or sono per amore dell’uomo, compie anche oggi la sua opera: dobbiamo avere occhi penetranti per vederla, e soprattutto un cuore grande per diventarne noi stessi strumenti» (n. 58).
«Spes non confundit»
È, in fondo, quello che ci sta raccomandando Papa Francesco con la sua Bolla di indizione del Giubileo 2025: «Spes non confundit», «la speranza non delude» (Rm 5,5), di cui va letto il verbo in latino: non tanto la speranza non delude, ma la speranza non confonde, non rende confusi, non rende incerti.
La speranza rende coraggiosi, come lo fu san Giovanni Paolo II. Egli certamente ci ripeterebbe oggi le parole che disse ai giovani nella Giornata Mondiale della Gioventù a Toronto il 28 luglio 2002. Si sentiva ormai stanco e debole e vecchio, ma ancora commosso:
«Anche se sono vissuto fra molte tenebre, sotto duri regimi totalitari, ho visto abbastanza per essere convinto in maniera incrollabile che nessuna difficoltà, nessuna paura è così grande da poter soffocare completamente la speranza che zampilla eterna nel cuore dei giovani.
Voi siete la nostra speranza! […] Non lasciate che quella speranza muoia!».