Comunione e sintesi politica. Spunti per un pensiero radicato nella vita

di Francesco Migliarese, Presidente Milano per Giovanni Paolo II

Contributo apparso nel volume “Ci vorrebbe un pensiero” (Vita & Pensiero 2021) pubblicato per i 100 anni dell’Università Cattolica. Il testo curato dal prof. Ernesto Preziosi parte dal messaggio dell’Arcivescovo di Milano Mario Delpini “Cattolico italiano, cosa pensi?” e raccoglie le risposte di 14 alumni dell’Università, con postfazione del Rettore Franco Anelli.

Il pensiero che germoglia nella comunione

In premessa devo confessare di essere un raro esemplare di commercialista-filosofo. Da quasi dieci anni faccio il commercialista d’impresa in uno studio di Milano, occupandomi di consulenza fiscale e societaria. Dopo la laurea magistrale in Management alla Cattolica, conseguita nel 2011, ho iniziato il praticantato e ho quindi superato l’esame di Stato nel 2013. Nel 2016, pur continuando il mio lavoro di sempre, ho deciso di prendere una seconda laurea magistrale, in Filosofia. Ho fatto questa scelta inusuale innanzitutto perché sono convinto che un po’ di trasversalità non possa che giovare, in questo mondo dominato dalla iper-specializzazione, e che quindi sia una risorsa utile, anche sul lavoro, saper unire pensiero pratico e pensiero speculativo, materie scientifiche e materie umanistiche. Ma soprattutto studiando filosofia ho risposto al mio bisogno di respirare aria buona: lasciandomi interrogare e guidare dai grandi pensatori di ieri e di oggi ho intravisto orizzonti bellissimi e sconfinati.

Faccio questa premessa per dire che la domanda dell’Arcivescovo Delpini, “Cattolico italiano, che cosa pensi?”, è evidentemente una domanda difficile, ma mi sembra al contempo la più necessaria. Per vivere infatti abbiamo continuamente bisogno di un “pensiero”. Di più, abbiamo bisogno di un significato che si incarni, ci affascini e ci coinvolga. Abbiamo bisogno di bellezza, che è “l’amore realizzato” come scrisse il grande pensatore russo Pavel Florenskij.

La prima sfida per la classe dirigente cattolica del nostro tempo è dunque a mio giudizio la riscoperta di un pensiero “organico”, vitale. La nostra gloriosa e preziosa tradizione occidentale porta in sé anche il peso di secoli segnati dagli eccessi del razionalismo e dell’individualismo, che hanno prodotto una cultura gravata da idealismi e moralismi di vario genere. Si è ritenuto che la sola ragione umana fosse in grado di comprendere in maniera sistematica e compiuta il mondo, l’uomo stesso, e perfino Dio, separando il pensiero dall’uomo vivente (Husserl direbbe: dalla Lebenswelt): corpo, storia, ambiente, relazioni. E si è forse insinuata anche tra i cattolici l’idea che ciascuno debba perseguire la propria autorealizzazione individuale, come se l’appartenenza a una comunità e la vita di relazione fossero meri accidenti di un io astratto isolato. 

Anche per questo, quando ci accingiamo a riflettere c’è il rischio che ci inerpichiamo nella costruzione solitaria di una nuova struttura di pensiero, sospesa negli spazi gelidi della pura razionalità. Mi sembra preferibile un approccio caldo, che dia il giusto peso a cose fondamentali e spesso bistrattate: le relazioni, la creatività, l’intuizione, perfino l’umorismo. Vogliamo elaborare un pensiero nuovo, interessante e benefico per l’oggi? Piuttosto che sforzarci di produrre sofisticate analisi, sarebbe meglio assecondassimo innanzitutto quella metànoia che proviene dall’immergerci nuovamente nell’esperienza viva della nostra fede. Il pensiero cattolico, come scrive l’Arcivescovo, germoglia in un’amicizia, è un dialogo incarnato nella storia, e quindi è tutt’uno con la vita nuova che ciascun credente continuamente riceve nella Chiesa: una vita intesa come comunione.

Pensare la politica

Alla luce di quanto detto vorrei ora concentrarmi su un ambito tanto centrale quanto critico dei nostri giorni, al quale in questi anni mi sono dedicato: quello della politica. Leggendo il testo dell’Arcivescovo mi sono chiesto: come far sì che l’esperienza di comunione vissuta nella Chiesa fruttifichi nella vita pubblica?

La politica è argomento tabù e probabilmente rappresenta oggi il grande tema che divide i cattolici italiani. Non dobbiamo avere paura delle contrapposizioni, dei confronti e nemmeno degli scontri, per carità. Tuttavia questo tempo di difficoltà sembra fornirci l’occasione per tentare di comporre alcune legittime divergenze ed essere tra noi concordi, per il bene.

Anche per questo a fine 2020 ho dato vita all’associazione Sintesi Politica. È un tentativo in divenire, tuttavia dal riscontro ricevuto in questi mesi intuisco che c’è un diffuso desiderio di tornare a interessarsi dell’ambiente pubblico e di lavorare alla sua bonifica, in un contesto che non strumentalizzi le persone e le abiliti a dare il proprio contributo. Perché “Sintesi”, e perché “Politica”? Dire “Sintesi” significa impegnarsi a cercare punti di incontro possibili, piuttosto che esasperare le divisioni. “Sintesi” implica poi un metodo di lavoro trasversale, non ossessionato dal tecnicismo, che favorisca la partecipazione delle persone. Allo stesso tempo per fare sintesi è necessaria una profondità di esperienza e di conoscenza delle questioni, che eviti di banalizzare temi complessi. Insomma una politica della concretezza e della competenza, ma anche del buon senso e dell’incontro. Anche il termine “Politica” ha un suo peso specifico, soprattutto perché non ci vergogniamo e non vogliamo vergognarci di utilizzarlo. In senso ampio, è politica tutto ciò che migliora l’ambiente umano e sociale in cui viviamo: il lavoro, la vita in famiglia, l’attività svolta in parrocchia e nelle associazioni. Ed è certamente politica anche l’impegno nelle istituzioni democratiche. La politica così intesa può essere motivo di soddisfazione e di orgoglio, in quanto contributo positivo alla vita di tutti.

Poste queste indicazioni di metodo e di stile, penso sia possibile approfondire alcuni temi significativi per giungere a un’impostazione di fondo condivisa. Ad esempio sembra evidente la necessità di ripensare l’economia, come anche papa Francesco ci invita a fare, per limitare e correggere le distorsioni del liberalismo: consumismo, disuguaglianze, danni all’ambiente, ritmi e condizioni di lavoro non umani. Urge un pensiero condiviso anche sui temi della natalità, della famiglia e dei giovani. Nel riflettere su questi e altri argomenti e nel proporre azioni politiche concrete sarà importante, pur studiando soluzioni generali, non perdere di vista la dimensione locale. Approcci globali e astratti sembrano l’unica via possibile in un mondo, appunto, globalizzato, ma tendono a generare scoraggiamento, senso di impotenza e disinteresse. Mettere al centro della politica innanzitutto ciò che è vicino e comprensibile, che ci riguarda direttamente e su cui possiamo influire, incoraggia invece la partecipazione e responsabilizza le persone.

Mi sembra che una nuova classe dirigente cattolica sia pronta a spendersi per portare professionalità e umanità al servizio della politica italiana, a tutti i livelli. L’Università Cattolica ha già fatto e sta facendo molto a questo proposito. La sfida per il futuro è quella di continuare ad opporre a una formazione iper-specialistica, tecnicistica, disincarnata, un modo di conoscere autenticamente cattolico, e quindi umano: che parte dalla relazione, si apre alla trasversalità, e ha il coraggio e la serenità di andare contro corrente. Uomini e donne così sapranno portare anche in politica un approccio nuovo.

Non si tratta di costruire a tavolino una (forse neppure desiderabile) unità politica dei cattolici, quanto di lasciare che l’appartenenza alla Chiesa generi configurazioni nuove e inedite, che possano ridare speranza in un momento in cui le istituzioni democratiche non godono più della fiducia delle persone. Certamente, perché questo accada, è necessario rimuovere lo stigma implicito che colpisce coloro che si accingono a impegnarsi nell’opera complessa della politica. E occorre sapere che i risultati di un pensiero organico, alimentato dallo spirito di comunione che ci anima, si realizzeranno in tempi medio-lunghi, a partire da rapporti di stima e amicizia tra le persone. Abbiamo l’occasione, come cattolici, di proporre una sintesi positiva e creativa, che senza alcuna pretesa di omologazione porti nel tempo effetti benefici di pacificazione sociale. Ne siamo capaci e credo che lo desideriamo. Anche così, percorrendo le vie notoriamente ostiche della politica, potremo contribuire a comporre quella sinfonia del pensiero cattolico di cui parla l’Arcivescovo, che già oggi risuona in lontananza come presagio di una nuova vitalità.