Giovanni Paolo II, una passione costante per l’uomo  – di mons. Mauro Longhi

di mons. Mauro Longhi

1.  Introduzione

“Il genere umano vive grazie a pochi; se non ci fossero loro il mondo perirebbe”. Ritengo che l’affermazione dello Pseudo-Rufino, monaco e scrittore ecclesiastico del IV secolo, citato da Benedetto XVI nella sua Lettera Enciclica Spe salvi, ci possa molto opportunamente introdurre nella presente riflessione su alcuni aspetti rilevanti del ministero petrino di Karol Wojtyla, “il Papa venuto da lontano”.

Noi qui parliamo di ciò che è accaduto davanti ai nostri occhi ma che forse non abbiamo pienamente compreso. Se l’uomo è un mistero, colui che sarà chiamato Giovanni Paolo Magno lo è in un modo del tutto particolare: in uno dei pontificati più lunghi della storia della Chiesa, le vicende personali dell’uomo inviato da Dio e gli accadimenti mondiali si sono intrecciati.

Egli è stato il primo grande mistico del terzo millennio: con il suo profondo ed intimo rapporto con Dio ha cambiato la storia del mondo, ha scongiurato il disastro nucleare e ha preparato all’umanità un futuro di speranza. La sua è stata una mistica che lo spingeva all’azione, ad operare. È stata una mistica operativa.

2.  Uomo di Dio, uomo per il mondo

Vi darò pastori secondo il mio cuore” (Ger 3,15). Abbiamo sperimentato nei ventisette anni del suo Pontificato, la realizzazione dell’annuncio del profeta Geremia: la promessa divina, compiutasi in modo supremo e definitivo in Cristo, ha trovato un rinnovato e vivo compimento nell’uomo inviato da Dio, chiamato ad assumere la missione di Pietro alla fine del secondo millennio per segnalare nuovamente ad ogni uomo, ottenebrato dalle divisioni e dall’odio, il cammino che conduce alla Verità che è Cristo, “la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,9): missione compiuta con la sua parola e la sua vita “sino all’ultimo respiro” (Discorso di Giovanni Paolo II nell’Aula Paolo VI al Collegio Cardinalizio il 18.10.2003).

Il buon pastore offre la vita per le pecore” (Gv 10,11). Nell’affermazione di Cristo riportataci dall’Apostolo Giovanni, possiamo riassumere, in un certo senso, tutta la esistenza del sacerdote, del vescovo e del Papa polacco. Eletto il 16 ottobre 1978, è stato chiamato da Dio il 2 aprile del 2005 alle ore 21.37 mentre volgeva al termine il sabato e si era già entrati nel giorno del Signore, Ottava di pasqua, domenica della Divina Misericordia, la stessa in cui è stato beatificato.

Una passione costante per l’uomo da parte di un uomo di Dio: egli ha riportato all’umanità il volto di Dio Padre, identificandosi con Cristo il quale – come ci ricordava nella sua lettera apostolica Novo Millennio Ineunte – “ha dovuto non soltanto assumere il volto dell’uomo, ma caricarsi persino del volto del peccato”, per riscattarci secondo giustizia alla vera vita.

Karol Wojtyla lo ha fatto, innanzitutto, con la preghiera, vegliando instancabilmente sull’uomo con la forza dell’orazione contemplativa.

giovannipaoloiiCome ricordò il Reverendo Professor Tadeusz Styczen, alunno, collega ed amico dell’allora Cardinale Wojtyla presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Cattolica di Lublino, recentemente mancato, Giovanni Paolo II ha voluto accogliere nella sua vita l’invito di Cristo nel Getsemani: “Vegliate e pregate” (Mt 26,41), riferendo a sé stesso quell’occasione che il Signore offerse duemila anni fa a Pietro, a Giacomo e a Giovanni, di unirsi a vegliare con lui nella sua agonia orante. “La preghiera del Getsemani dura ancora!” esclamava il Card. Wojtyla nella sua predicazione durante gli Esercizi spirituali rivolti alla Curia romana (K. Wojtyla, Segno di contraddizione, Meditazioni, Ed. Università Cattolica di Milano, 1977, p.166; cfr. Osservatore Romano n. 239 del 15.10. 2003). “Simone, dormi?” (Mc 14,37). Giovanni Paolo II, rispondeva a nome di Pietro: “Deus, Deus meus, ad te de luce vigilo” (Sal 62,2) . Egli è stato “in veglia” quale Pastore universale del gregge (cfr. Gv 21, 15-17), facendosi pellegrino vigile della Parola incarnata, di Colui che è il Redentore dell’uomo, centro del cosmo e della storia, testimoniando a tutti la altissima dignità a cui l’uomo è chiamato: vivere nella Verità per fare la Verità, essendo la Verità Cristo stesso.

Egli si è rivolto all’uomo di ogni cultura e razza, e specialmente all’uomo emancipato della così detta cultura postmoderna: i suoi 102 viaggi apostolici fuori dall’Italia, i 129 Paesi visitati con l’offerta di quel suo bacio in terra, simbolo del servizio e della carità di Cristo per ogni uomo che è figlio di Adamo, il “terrestre”; le sue visite ai Santuari mariani nei cinque continenti ed alle parrocchie di Roma; la sua incessante catechesi settimanale dalla Sede di Pietro: 1.166 Udienze Generali del mercoledì davanti a 17 milioni e 700 mila pellegrini; le 19 edizioni, a partire dal 1985, delle Giornate Mondiali della Gioventù; 14 Lettere encicliche, 15 Esortazioni apostoliche, 11 Costituzioni apostoliche e 45 Lettere apostoliche; e poi gli innumerevoli incontri nei nuovi areopaghi del mondo, come amava chiamarli: le Università, le Sedi parlamentari, gli Organismi internazionali. Ed infine, come non ricordare il Grande Giubileo dell’anno 2000, durante il quale accolse presso la Sede di Pietro più di 8 milioni di pellegrini. Ecco perché Giovanni Paolo II, uomo di Dio, è stato uomo per il mondo.

3.  In una diakonia cristocentrica e mariana

Che Karol Wojtyla sia stato uno dei più grandi testimoni della fede nel Verbo incarnato e nel contempo uno dei più strenui difensori della dignità della persona umana nella storia della Chiesa è un dato sul quale non cade ormai alcun dubbio o incertezza.

Penso che più che ad ogni altro commento, possiamo ricorrere alle sue stesse parole che dalla Piazza di San Pietro, il 16 ottobre del 2003, nell’Omelia della giubilare Celebrazione del XXV Anniversario di Pontificato, diceva: «Sin dall’inizio del Pontificato, i miei pensieri, le mie preghiere e le mie azioni sono state animate da un unico desiderio: testimoniare che Cristo, il Buon Pastore, è presente e opera nella sua Chiesa. Egli è in continua ricerca di ogni pecora smarrita, la riconduce all’ovile, ne fascia le ferite; cura la pecora debole e malata e protegge quella forte. Ecco perché fin dal primo giorno, non ho mai cessato di esortare: “Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà!”. Ripeto oggi con forza: “Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!”. Lasciatevi guidare da Lui! Fidatevi del suo amore!».

265503-800x546Alzatevi, andiamo!” (Mt 26, 46). L’invito di Cristo nel Getzemani, la cui preghiera ricordavo poc’anzi, è sempre attuale. Giovanni Paolo II, all’alba del terzo millennio, nella sua Lettera apostolica Novo millennio ineunte, indicava alla Chiesa universale come alzarsi e dove andare. Nel “duc in altum” è contenuta la sua esortazione, rivolta ad ogni cristiano, ad alzarsi con una maggior santità di vita e ad andare verso tutti gli uomini per colmare la loro sete di Dio.

È noto che la sua profonda fede calcedoniana trovava le sue radici nella Sacra Scrittura, specialmente nel Vangelo di Giovanni. Questa fede nella incarnazione non ha perso mai la sua connessione con la realtà della salvezza dell’uomo, tanto da poter dire che tutto il suo Magistero petrino propone una unità radicale delle verità della incarnazione del Verbo e della redenzione dell’uomo.

La sua grande eredità è, pertanto, il mistero dell’uomo contemplato alla luce del mistero di Cristo redentore. Tramite questo mistero, Giovanni Paolo II si sentiva intimamente collegato a Pietro e a tutti i suoi successori nella Sede di Roma. Una considerazione che aveva motivato Karol Wojtyla anche nella scelta del nome; non tanto per una semplice continuità “mediatica” con i tre pontificati precedenti, quanto per inaugurare nella continuità una nuova tappa della storia d’amore di Dio per l’uomo.

“Attraverso questi due nomi e due pontificati – scriveva nella sua prima Enciclica Redemptor hominis del 4 marzo 1979 – mi riallaccio a tutta la tradizione di questa Sede Apostolica, con tutti i predecessori nell’arco del ventesimo secolo e dei secoli precedenti, collegandomi via via, secondo le diverse età fino alle più remote, a quella linea della missione e del ministero, che conferisce alla sede di Pietro un posto del tutto particolare nella Chiesa. Giovanni XXIII e Paolo VI costituiscono una tappa, alla quale desidero riferirmi direttamente come soglia, dalla quale intendo, in qualche modo insieme con Giovanni Paolo I, proseguire verso l’avvenire, lasciandomi guidare dalla fiducia illimitata e dalla obbedienza allo Spirito, che Cristo ha promesso e inviato alla sua Chiesa”.

Ricordo che pochi giorni dopo la sua elezione, il 29 ottobre del 1978, Egli si recava al Santuario mariano della Mentorella, nel Lazio, per affidare nelle mani  della Vergine Maria la sua missione petrina. “La vittoria, quando avverrà sarà una vittoria mediante Maria” gli soleva ripetere il suo grande maestro e caro amico Card. Stefan Wyszynski (cfr. Giovanni Paolo II, Testamento del 17.3.2000), parole che quest’ultimo aveva appreso dal suo Predecessore il Card August Hlond. Il suo affidamento “Totus Tuus ego sum et omnia mea tua sunt” è stato un affidamento cristologico e mariano: “Io sono tutto tuo, e tutto ciò che è mio ti appartiene, mio amabile Gesù, per mezzo di Maria, tua santa Madre”.

4.  La Croce

Due anni prima di morire lo aveva ribadito: “Ti rinnovo, per le mani di Maria, il dono di me stesso, del presente e del futuro: tutto si compia secondo la tua volontà” (Giovanni Paolo II, Omelia del 16.10.2003, n. 4). Il suo mariano di allora, il suo al dono ed al peso del ministero petrino, si è reso sempre più fecondo e nel suo significato più profondo: è stato un sì a portare fino in fondo la Croce, per completare nel suo corpo quello che mancava ai patimenti di Cristo (Col 1,24).

GiovanniPaoloII-BenedettoXVIGiovanni Paolo II, sotto il peso del servizio di amore alla Chiesa, ci additò con rinnovata urgenza, questa stessa Croce di Cristo come appoggio e vessillo di vittoria contro la cultura della morte. I suoi anni di pontificato sembrano “gridarci” ancora oggi: la Croce è il Legno della vita, segno positivo che unisce il cielo alla terra e gli uomini fra di loro, segno della altissima dignità della persona umana restituita alla primitiva somiglianza con Dio, emblema del rispetto dovuto ad ogni vita umana, riscattata alla vita eterna con la morte dell’Uomo-Dio.

Il 13 maggio del 1981, Egli aveva intenzione d’informare i fedeli riuniti in Piazza San Pietro di due importanti iniziative a favore della vita dell’uomo: la costituzione del Pontificio Consiglio per il Matrimonio e la Famiglia e la fondazione, presso il Laterano, del Pontificio Istituto di Studi sul Matrimonio e sulla Famiglia. Sappiamo ciò che accadde in quel giorno e sappiamo anche di essere eredi dell’operato di un così grande Pastore, che offerse la vita per le pecore” (cfr Gv 10,11).

Se la parola non ha convertito, sarà il sangue a convertire” aveva scritto poco prima di essere eletto Pontefice nella sua poesia Stanislaw dedicata al Santo martire di Cracovia. Lo ricorda anche Mons. Slawomir Oder, Postulatore della causa di canonizzazione di Giovanni Paolo II, autore del libro-biografia sulla vita del Pontefice  (Slawomir Oder, Perché Santo, Ed Rizzoli, Bergamo, febbraio 2010 (2°)), commentando: “da quel momento (facendo riferimento all’attentato) sarebbe cominciato infatti il suo calvario, illuminato dalla consapevolezza di aver ricevuto nuovamente  in dono la vita per poterla offrire a beneficio della umanità intera.

5.  Conclusione: unità tra fede e cultura

“Se la fede cristiana non si fa cultura è una fede fallita”: ho udito più volte pronunciare queste parole da Giovanni Paolo II rivolte in particolare agli uomini di cultura, agli scienziati e al mondo universitario.

In questi momenti di accresciuta tensione nell’intera comunità internazionale, afflitta dalla cultura del sospetto e del rancore, minacciata da una vera congiura contro la vita e la famiglia, tutti i cristiani, sono chiamati innanzitutto a farsi “annunciatori instancabili del Vangelo della vita” (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae),

Una elementare coerenza esige che chi cerca la pace, il bene comune universale, il bene dei popoli, difenda prima di tutto la vita umana, in ogni sua fase, dal suo sorgere sino al suo naturale tramonto.

A questo riguardo è noto quanto Giovanni Paolo II chiese nel 2002 al suo grande collaboratore, il Card Joseph Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede: vale a dire di offrire alla Chiesa un Documento della Santa Sede in cui s’incoraggiasse i cattolici ad un serio impegno nella vita politica. Da ciò scaturì la “Nota dottrinale su alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica” (Congregazione per la Dottrina della Fede, 24 novembre 2002).

Ricordava Giovanni Paolo II che è in gioco all’inizio di questo terzo millennio, non solamente la vita di ogni singola persona ma, con essa, anche la vita delle stesse nazioni. “La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata nel 1984, ha trattato in maniera eloquente dei diritti delle persone; ma non vi è ancora un analogo accordo internazionale che affronti in modo adeguato i diritti delle nazioni”. Lo aveva ribadito nel suo Discorso all’ONU nel 1995, ed aveva aggiunto: “Si tratta di una situazione che deve essere attentamente considerata per le urgenti questioni circa la giustizia e la libertà nel mondo contemporaneo” (Discorso del 5.10.1995 all’ONU).

La Chiesa auspica un giusto ordine mondiale, fondato sui diritti delle nazioni che siano a loro volta radicati sulla verità dell’uomo. Perché solamente la libertà, guidata dalla verità, conduce la persona umana al suo vero bene.

giovanni-paolo-ii-camera-deputati“La libertà staccata dalla verità della persona umana, scade, nella vita individuale, in licenza e, nella vita politica, nell’arbitrio dei più forti e in arroganza del potere” (Giovanni Paolo II, Discorso del 5.10.1995 all’ONU). Allora, si comprende bene come la pretesa che le attività sociali, politiche ed economiche nazionali ed internazionali si collochino in una sorta di zona franca nella quale sia assente la legge morale, costituisca il fondamento dei moderni totalitarismi, dell’utilitarismo, e più in generale del relativismo etico, che minano alla base la pacifica convivenza ed il progresso dei popoli.

Per raggiungere questo ordine, è necessaria una cultura della solidarietà nella pace, in quella tranquillitas ordinis secondo la nota definizione di Sant’Agostino (De civitate Dei, 19,13), che si conquista con la giustizia ed il perdono: “Non c’è pace senza giustizia. Non c’è giustizia senza perdono”: ricordiamo queste parole del Messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata mondiale della pace del 1 gennaio 2002.

Giovanni Paolo II con forza proclamava che è proprio l’uomo di fede a possedere un ruolo vitale nel suscitare gesti di pace e nel consolidare condizioni di pace. L’autentica fede cristiana promuove sempre la pace dell’intera famiglia umana e non permette mai alla guerra di dividere le religioni del mondo.

È quanto ha sempre ricordato il Magistero della Chiesa, ed in particolare il Magistero petrino, in questi ultimi due secoli: dalla Rerum Novarum di Leone XIII alla Populorum progressio di Paolo VI ed alle tre Lettere encicliche sociali del Beato Giovanni Paolo II, che qui abbiamo più volte ricordato e commentato. E non solamente l’insegnamento ma anche la testimonianza di vita di Giovanni Paolo II, lungo tutti i ventisette anni del suo Pontificato, sono stati quanto mai eloquenti nel proclamare che è urgente ricercare l’unità tra fede e cultura, tra Vangelo e vita, additando ad ogni cristiano l’esigenza di unità di vita: “Sarà la sintesi vitale che i fedeli laici sapranno operare tra il Vangelo e i doveri quotidiani della vita la più splendida testimonianza che, non la paura ma la ricerca e l’adesione a Cristo sono il fattore determinante perché l’uomo viva e cresca e perché si costituiscano nuovi modi di vivere più conformi alla dignità umana” (Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica postsinodale Christifideles laici).