Ho vissuto con un santo, certezza e memoria per tutti

A un mese esatto dalla canonizzazione del Beato Karol Wojtyla, il 27 marzo, si è tenuto l’incontro “Giovanni Paolo II, il Papa dei due millenni”, promosso dall’Università Cattolica e dell’Arcidiocesi di Milano con la partecipazione del cardinale Angelo Scola. Al centro della serata il libro “Ho vissuto con un santo” del cardinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo di Cracovia, scritto in forma di conversazione con il giornalista Gianfranco Svidercoschi, già vicedirettore dell’Osservatore Romano.

di Emilia Flocchini, Associazione Milano per Giovanni Paolo II


Un ricordo che diventa eredità consapevole. È questo il messaggio fondamentale che si può ricavare dall’incontro di presentazione del libro Ho vissuto con un santo, conversazione tra l’Arcivescovo di Cracovia, cardinal Stanislao Dziwisz, e il giornalista Gianfranco Svidercoschi, la seconda dopo Una vita con Karol, uscita dopo la morte di papa Giovanni Paolo II.

Nel tardo pomeriggio del 27 marzo, l’Aula Magna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano, che ospitava la presentazione, non era affollata solo da studenti e personale docente, ma anche da persone che volevano sentire qualcosa di nuovo sul «Papa dei due millenni», come Giovanni Paolo II era definito dal titolo dell’incontro.

Dopo il saluto del Magnifico Rettore, Franco Anelli, che ha fatto presente come papa Wojtyla sia forse «il primo santo dell’era mediatica», capace di padroneggiare il mezzo di comunicazione senza esserne fagocitato, ha preso la parola Lorenzo Ornaghi, suo immediato predecessore e presidente dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (ASERI). Il suo intervento ha evidenziato come il magistero del Pontefice sia riuscito a superare la distanza tra Dio e l’uomo e a mostrare il vero volto del Padre soprattutto a intere generazioni di giovani.

Di seguito, Luigi Geninazzi, che noi dell’Associazione abbiamo incontrato lo scorso gennaio, ha messo l’accento su come la cerimonia del prossimo 27 aprile ci chiami non solo ad ammirare il nuovo santo per tutto quello che ha fatto, ma per come l’ha fatto. Giovanni Paolo II, ha proseguito il giornalista di Avvenire, ha cambiato anche la sua vita e il suo modo d’intendere la professione: ha visto da vicino la sua «personalità maestosa e allo stesso tempo cordiale», da vero «profeta col senso dell’ironia». Una persona, quindi, che ha avuto i suoi momenti di contrasto, che ha lottato per far vivere la libertà dei figli di Dio a tutti i cattolici, a cominciare da quelli della Polonia.

Tra il suo contributo e quello successivo, la proiezione di alcune immagini di repertorio ha contribuito a riportare, per così dire, la presenza del Papa polacco nella stessa Aula Magna dove aveva parlato il 23 maggio 1983. Ma non è stata l’unica sua visita nell’ateneo dei cattolici italiani: la dottoressa Maria Bocci, Ordinario di Storia Contemporanea, ha ricostruito la storia dei rapporti anzitutto tra l’Università e l’Europa dell’Est, sin dagli ultimi anni di vita del Fondatore padre Agostino Gemelli. Indagando negli archivi, ha poi rintracciato la sbobinatura, ancora inedita, di un incontro che l’allora cardinal Wojtyla aveva tenuto, ospite del rettore Brasca, con oggetto «La Chiesa in Polonia oggi» Ha concluso indicando come tutti i suoi messaggi per la Giornata dell’Università Cattolica non fossero pieni di parole di circostanza e rammentando l’ultimo incontro con lui, nel novembre 2000.

È venuto poi il turno dell’Arcivescovo di Milano, il cardinal Angelo Scola. Inizialmente, ha ammesso, aveva qualche resistenza a partecipare alla serata perché la sua agenda è fitta di appuntamenti; inoltre, temeva il rischio di celebrazioni infeconde. Alla fine, spinto dall’amicizia personale con don Stanislao e ripensando al fatto che fu Giovanni Paolo II a volerlo Vescovo, preside della Pontificia Università Lateranense e del Centro Studi su matrimonio e famiglia (ora intitolato proprio a lui) e infine Patriarca di Venezia, ha accettato l’invito.

L’occasione gli è servita per riproporre il vero significato della canonizzazione, sin dal suo significato etimologico. Kanon, in greco antico, indicava il bastone su cui ci si appoggia o uno strumento di misura; nel cristianesimo, assunse il significato di “regola di vita”. Il santo, quindi, è il segno di come Gesù Cristo sia all’opera in tutta la vita della persona proposta a modello, tanto che alcuni aspetti della gloria di Dio, di per sé inafferrabile, diventano visibili nella vita dell’uomo.

Dal libro di Svidercoschi ha estrapolato tre citazioni, che gli sembravano le più consonanti col suo rapporto col Papa in questione. La prima, che mostrava come «con la sua missione abbia legato strettamente la causa del Vangelo a quella dell’uomo», per usare le parole del cardinal Dziwisz, gli è servita per ricordare come lui abbia sviluppato un pensiero originale e libero circa la dottrina sociale della Chiesa. La seconda, che indicava la ragion d’essere della Chiesa in Cristo, gli è parsa utile per suggerire agli studenti di indagare le vicende del cattolicesimo italiano dopo la seconda guerra mondiale. Infine, riprendendo il punto dove è detto che l’attuazione del Concilio per Wojtyla fu anzitutto una visita alle parrocchie che costituiva un vero e proprio Sinodo itinerante, ha sicuramente fatto venire in mente ai presenti le visite pastorali che l’Arcivescovo di Milano sta attuando quasi ogni fine settimana.

Proseguendo, ha presentato alcuni ricordi personali, come quello di quando, concelebrando nella Cappella privata alcuni mesi dopo l’elezione, rimase sconvolto da come il novello Pontefice celebrasse la Messa, «quasi attuando la sua funzione ministeriale a prescindere da chi aveva attorno», ha detto. Un’altra immagine, ripresa per sottolineare come l’“io-in-relazione” del Papa fosse anzitutto legato a Dio, è stata quella di lui in ginocchio sul faldistorio per la preghiera dell’Angelus al termine di una commissione di lavoro, cui Scola partecipava. Vi rimase per quindici minuti che a lui, inginocchiato sul pavimento perché immaginava una breve durata della preghiera mariana, fecero ritornare con la mente a quando, da bambino, vide il Beato cardinal Alfredo Ildefonso Schuster, in visita nella sua parrocchia natia a Malgrate, immobile in posizione orante.

Infine, riprendendo un paragone già citato nella scorsa Quaresima, ha dichiarato come, per togliere l’eccesso da ciò che siamo, abbiamo bisogno della forma. Ecco quindi i santi, che c’invitano ad andare al cuore della fede e, con la loro sicura intercessione, c’insegnano a metterci in mezzo agli altri; perché la comunione dei santi, come ha affermato papa Francesco, ha anche una dimensione orizzontale.

Le ultime parole sono state di Gianfranco Svidercoschi, la cui abilità nel far raccontare don Stanislao è stata più volte elogiata dai vari relatori della serata. Ha esordito spiegando che, Se il già citato Una vita con Karol era un’indagine “intorno” al mistero di Wojtyla, questo nuovo ce lo mostra “dentro”, nella sua unità tra privato e pubblico, tra preghiera e azione. Con termini accorati, aveva poco prima denunciato il vizio tutto italiano di contrapporre un Pontefice ai suoi predecessori: è successo, come già trent’anni fa, anche a papa Francesco.

«Posso essere capito solo dal di dentro», confidò Giovanni Paolo II ai giornalisti. L’idea condivisa da tutti coloro che erano presenti in Cattolica è stata che un’opera come questa serva a penetrare davvero nel grande mistero che fu la sua persona e a ricordare, pur senza farne un’immagine buona per tutte le occasioni, che moltissimi fedeli, non solo gli strettissimi collaboratori, hanno “vissuto con un santo”.