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“Mamme, portate i vostri bambini in mezzo agli oceani e ai ghiacciai: lì si vede chi è Lui e chi siamo noi”. Non è facile fare memoria del lungo pontificato di Giovanni Paolo II, della sua grande umanità, della sua capacità di leggere e scrivere la storia del mondo, determinandone il corso solamente parlando del Vangelo. Di una Parola che il Papa seppe vivere e incarnare nel suo Magistero profetico e nelle sue passioni, come quella per la montagna.
A raccontarci il lato più umano di Karol Wojtyla è stato Monsignor Mauro Longhi, sacerdote dell’Opus Dei, che all’età di vent’anni aderì alla prelatura come laico. Terminati gli studi di Economia all’Università Bocconi di Milano, svolse per quasi vent’anni attività professionale nel campo societario e finanziario internazionale. Solamente nel 1995, a 46 anni, venne ordinato sacerdote e trasferito a Roma dove, negli anni ’80 e ’90, ebbe la fortuna di incrociare la sua vita con quella dell’allora cardinale Wojtyla. Dopo aver ricoperto importanti incarichi nel consiglio di amministrazione dell’Association for cultural interchange di New York e della Foundation Belmont di Berna, fu incaricato di seguire i cardinali romani, avendo la fortuna di condividere con il Papa un paio di volte all’anno anche delle brevi escursioni a San Felice d’Ocre, in Abruzzo.
“Arrivava il lunedì sera, il martedì camminavamo e il mercoledì mattina doveva far ritorno a Roma per l’udienza. Era una persona di buon umore, un uomo di Dio che sapeva mantenere una serenità piena. Era capace di mantenere 45 pulsazioni al minuto in qualsiasi situazione. Anche nel momento della malattia, fu pienamente cosciente di quanto il Signore gli stava offrendo”, ricorda Longhi. Giovanni Paolo II voleva portare la Chiesa lontano, consapevole che “Dio non ha creato l’Accademia del sapere divino, ma ci ha chiesto di trasmettere la nostra fede con la vita vissuta”, ricreando un clima familiare. Quel clima a lui tanto mancato, dato che perse i genitori, il fratello e la sorella ancora adolescente.
“Era un uomo ironico. Una sera in montagna saltò la luce e lo trovai nel buio che mi diceva ‘Non sono un fantasma’, essendo vestito di bianco”, sorride Longhi ricordando un episodio condiviso con il Pontefice. Un santo che respirava umanità e si affidava totalmente a Dio: “Vado da Lui a pregare. Senza di Lui non posso fare il Papa. Chiedo a lui come poter fare. Se mi prostro davanti al tabernacolo sarò capace di vedere Dio in ogni persona o circostanza”, ricorda, sottolineando come Wojtyla avesse un profondo rispetto per gli uomini e per il loro essere portatori di Dio nel mondo.
Un mondo che soffriva: “Non ho dormito una settimana pensando al dolore dell’Africa”, gli confessò il Pontefice.
Con il Suo carisma e la Sua intelligenza fu il protagonista assoluto di un larghissimo pezzo dell’ultimo secolo ed ha accompagnato, con paternità e dolcezza, l’umanità al varco della soglia del terzo millennio. Denunciando i rischi dell’ateismo e del terrorismo per l’Europa. Un secolo che, dopo le sbornie di devastazioni e le folli ventate di odi e di distruzioni, quasi reclamava, come contropartita di giustizia, l’avvento di una figura capace di imprimere il segno di una storia totalmente diversa. Con Lui la speranza è tornata a prendere respiro tra gli uomini. Papa Wojtyla ha dato conto di questa speranza e, dal primo atto del Suo pontificato, non ha smesso di indicarla per nome: “Aprite, anzi spalancate, le porte a Cristo”.
Il mondo, non meno della chiesa, quasi mostrava l’attesa per un Papa capace di prendere in mano, prima di tutto in senso spirituale, le redini di un secolo scosso dalla violenza, e tuttavia segnato da profondi rivolgimenti culturali e sociali. In pochi decenni, a partire dagli anni Sessanta, più che cambiamenti si erano succedute vere e proprie “rivoluzioni”, tali da stravolgere i lineamenti del pianeta. Una per tutte: il crollo del Muro di Berlino, anticipato a Gorbacev dallo stesso Papa, attento alla situazione internazionale. “Per chi prega tutto può cambiare. I nemici della Chiesa non sono all’esterno, ma sono all’interno. Sono quelli che dormono”, diceva il Pontefice, sostenendo la necessità di accogliere la volontà di Dio che si presenta. Rispondendo sì, come Maria. Maria, la nuova Eva che “scioglie i nodi della vecchia Eva” citando San Ireneo, madre della spiritualità di Giovanni Paolo II e anima delle visioni del Pontefice.
Come ha ricordato Benedetto XVI: “ Karol Wojtyła, prima come Vescovo Ausiliare e poi come Arcivescovo di Cracovia, ha partecipato al Concilio Vaticano II e sapeva bene che dedicare a Maria l’ultimo capitolo del Documento sulla Chiesa significava porre la Madre del Redentore quale immagine e modello di santità per ogni cristiano e per la Chiesa intera. Questa visione teologica è quella che il beato Giovanni Paolo II ha scoperto da giovane e ha poi conservato e approfondito per tutta la vita. Una visione che si riassume nell’icona biblica di Cristo sulla croce con accanto Maria, sua madre”. A Fatima Giovanni Paolo II consacrò il mondo al Cuore Immacolato di Maria. Con la Lettera Apostolica Rosarium Virginis Mariae indicò nel Rosario la più alta preghiera contemplativa, invitando le famiglie a riscoprire la bellezza e l’importanza di questa preghiera per la crescita nella vita di fede.
S.M.
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