La verità sull’uomo rifulge sul volto di Cristo

di Mons. Mauro Longhi


1. Introduzione: l’etica della ragione e l’etica della fede si fondono in una feconda unità

È sulla base di una luminosa prospettiva cristologica del suo pensiero antropologico che si possono comprendere i contenuti dei tre “binomi” rilevanti del ministero petrino di Giovanni Paolo II: uomo-famiglia, uomo-società civile, uomo-multiculturalismo. Tre binomi che manifestano le linee fondamentali dell’antropologia filosofica e teologica del Pontefice polacco, linee espresse in molteplici documenti del suo alto Magistero con la caratteristica circolarità delle sue riflessioni, vale a dire del ritmato ritorno espositivo al nucleo tematico centrale del suo messaggio: la verità sull’uomo rifulge sul volto di Cristo.

La Chiesa “esperta in umanità”, come scrisse Paolo VI nella sua Enciclica Populorum Progressio del 26 marzo 1967, interpella l’uomo, oggi come venti secoli fa, sul vero bene della persona umana e sul suo autentico ed integrale sviluppo individuale e sociale (n. 13: ASS 59, 1967, p. 263). In continuità con Paolo VI, Giovanni Paolo II, lungo tutto il suo Pontificato, ha testimoniato che l’uomo, ogni uomo, nella piena verità della sua esistenza, del suo essere persona ed insieme del suo essere comunitario e sociale, è la prima via che la Chiesa percorre nel compimento della sua missione (Lett. enc. Redemptor hominis, del 4.3.1979, n. 13: AAS 71, anno 1979, 285).

Specialmente nelle tre Encicliche antropologiche Veritatis splendor (del 6.8.1993), Evangelium vitae (del 25.3.1995), Fides et ratio (del 14.9.1998), e nelle tre Encicliche sociali, Laborem exercens (del 14.9.1981), Sollecitudo rei socialis (del 30.12.1987) e Centesimus annus (del 1.5 1991), egli annuncia: la Chiesa non può tacere senza tradire la sua finalità evangelizzatrice; essa è chiamata a proclamare e a testimoniare che il bene della persona è di essere nella Verità e di fare la Verità. “Questo essenziale legame di Verità-Bene-Libertà è stato smarrito in larga parte dalla cultura contemporanea e, pertanto, ricondurre l’uomo a riscoprirlo è oggi una delle esigenze proprie della missione della Chiesa, per la salvezza del mondo” (Giovanni Paolo II, Allocuzione del 10.4.1986 ai Docenti di Teologia morale, nn. 1-2: in Insegnamenti, vol IX, 1 1986, p.970).

Scuola di AteneLa parola del Salmo “Tu mi mostri la via della vita” (Sal 15,11), che si trova significativamente nel primo discorso pronunciato da Pietro a Pentecoste (At 2,28), primo Apostolo a parlare dopo l’Ascensione di Cristo, costituiva per Giovanni Paolo II il lemma da cui incamminarsi per la proclamazione della dottrina antropologica e sociale cristiana. Puntualizzava: la Chiesa, proprio a partire dalla sua natura fondante, deve continuamente “mostrare la via”, deve rendere sempre nuovamente visibile il contenuto morale della fede. Ripeteva che la fede, unita alla ragione, indica che il fondamento di ogni pretesa etica e giuridica si radica nella persona e nel concetto metafisico di natura umana che è permanente ed universale. Per questo, ribadiva che la via della fede si unisce e si rafforza con la via della ragione. L’etica delle fede e l’etica della ragione si fondono e danno origine ad un nuovo cammino dove la fede è chiamata a risvegliare e ad illuminare la ragione che tende sovente ad assopirsi: senza ricevere imposizioni e violenza, la ragione viene in tal modo condotta alla sua pienezza. Ma il così detto pensiero post moderno accoglie come un assioma l’impossibilità di una conoscenza metafisica e rifiuta una antropologia trascendente, in particolare quando pretende di fondare le norme dell’agire dei cittadini di uno Stato moderno.

2. L’uomo e la famiglia

Giovanni Paolo II ha proclamato e difeso costantemente la verità sulla identità e sulla missione della famiglia fondata sul matrimonio, inteso come unione stabile e aperta alla vita di un uomo e di una donna; della famiglia quale istituzione naturale, patrimonio dell’umanità, un bene essenziale e necessario ad ogni società e popolo, e per ciò stesso fondamento della società, luogo primario dell’umanizzazione della persona e del vivere civile.

Come non ricordare le sue Catechesi del mercoledì sull’amore umano, i Messaggi ed Omelie in occasione degli Incontri Mondiali con le Famiglie? E poi la Esortazione apostolica post-sinodale Familiaris consortio del 22 novembre del 1981, la Lettera alle Famiglie Gratissimam sane del 2 febbraio del 1994, e la stessa Lettera Enciclica Evangelium vitae del 25 marzo del 1995, per citare solamente alcuni dei numerosi Documenti del suo Magistero petrino, dedicato al tema della procreazione nel matrimonio, della cultura della vita e della dignità della famiglia.

Ha sempre sostenuto che la verità sulla famiglia, secondo il progetto divino della creazione, progetto stabilito fin dal principio (cfr. Mt 19,4.8), è l’ambito nel quale ogni persona umana, fatta ad immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gen 1,26) è concepita, nasce, cresce e si sviluppa; che, pertanto, essa è il “santuario della vita…: il luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere adeguatamente accolta e protetta contro i molteplici attacchi a cui è esposta, e può svilupparsi secondo le esigenze di una autentica crescita umana” (Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, n. 39). La famiglia, non essendo una invenzione dell’uomo o frutto di una ideologia, – diceva- non può essere modificata, nella sua natura, da nessuna autorità sulla terra.

Memorabili sono le parole da lui pronunciate a braccio nella piazza di San Pietro nel primo incontro mondiale con le famiglie l’8 ottobre del 1994: riporto qui di seguito l’inizio e la conclusione del suo Discorso.

Familia, quid dicis de te ipsa?”. Parole simili ho ascoltato per la prima volta nell’Aula Conciliare, all’inizio del Concilio Vaticano II. Ma il Cardinale che le pronunciava, in luogo di “familia”, diceva “Ecclesia, quid dicis de te ipsa?”.

Ecco, un parallelismo. Quando ho riflettuto e pregato prima di questo incontro, questo parallelismo fra le due domande mi si è iscritto nel cuore e nella memoria: Familia, quid dicis de te ipsa? Una domanda, una domanda che aspetta una risposta.

365836899_d486e2bc0e_zPossiamo dire che questo Anno della Famiglia è una grande risposta esattamente a questa domanda. Quid dicis de te ipsaFamiglia, famiglia cristiana: che cosa sei tu? Troviamo una risposta già nei primi tempi cristiani. Nel periodo post-apostolico: “Io sono la Chiesa domestica”. In altre parole: io sono una Ecclesiola; una chiesa domestica. E di nuovo vediamo lo stesso parallelismo: Famiglia-Chiesa; dimensione apostolica e universale della Chiesa, da una parte; dimensione familiare, domestica della Chiesa, dall’altra parte.

L’una e l’altra vivono delle stesse sorgenti. Hanno la stessa genealogia in Dio: in Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. Con questa genealogia divina si costituiscono attraverso il grande mistero del divino Amore. Questo mistero si chiama “Deus homo”, incarnazione di Dio che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito, perché nessuno che Lo segue si perda. Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo. Un solo Dio, tre Persone: un mistero insondabile. In questo mistero trova la sua sorgente la Chiesa, e trova la sua sorgente la famiglia, chiesa domestica (…)”.

(…) Tornerei per finire a quello che ho detto all’inizio: Familia, quid dicis de te ipsa? Qui, in questa nostra assemblea di Piazza San Pietro, la famiglia ha cercato di rispondere a questa domanda: Quid dicis de te ipsa? Ecco: “Io sono”, dice la famiglia. “Perché tu sei?”: Io sono perché Colui che ha detto di se stesso, “Solo Io sono quello che sono”, mi ha dato il diritto e la forza di essere. Io sono, io sono famiglia, sono l’ambiente dell’amore; sono l’ambiente della vita; io sono. Che cosa dici di te stessa? Quid dicis de te ipsaIo sono “gaudium et spes”! E così possiamo terminare questa improvvisazione, perché… Ci sono le carte, è vero, ma metà del mio discorso è stato improvvisato, dettato dal cuore, e ricercato da parecchi giorni nella preghiera.”

Sono parole vibranti che per me, dopo tanti anni, mantengono una forza inaudita e una grande attualità.

Purtroppo, allora – e mi riferisco al periodo del pontificato di Giovanni Paolo II – come oggi, numerose dottrine politiche e correnti di pensiero continuano a fomentare una cultura che ferisce la dignità dell’uomo, ignorando o compromettendo, in diversa misura, la verità sul matrimonio e sulla famiglia. Assistiamo a livello internazionale, ad una orchestrata cospirazione finanziaria, fiscale e legislativa contro gli articoli della Dichiarazione universale dei diritti umani e della Carta dei Diritti della Famiglia, cospirazione camuffata da falsi ideali di libertà e dalla così detta “riconquistata maturità ed emancipazione dell’uomo dai condizionamenti del passato”: è una campagna che, con atteggiamenti ambigui, pretende, dai poteri legislativi di molti Stati, la revisione degli enunciati dei diritti fondamentali ed inalienabili della persona umana, stravolgendo la convivenza umana e la sua crescita. Non possiamo dimenticare – scriveva Giovanni Paolo II – che la famiglia, quale formatrice per eccellenza delle persone, è indispensabile per una vera “ecologia umana” (cfr. Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 39).

Piaceva a Giovanni Paolo II la ben nota Lettera a Diogneto in cui tra l’altro si legge: “I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per la loro terra natale, né per il loro idioma, né per le loro istituzioni. Non abitano appartati in città proprie; non parlano in lingua inusitata; non conducono una vita strana. …Contraggono matrimonio come tutti. Procreano figli, ma non lasciano che i neonati si perdano. Mettono in comune la mensa ma non il loro letto… Ciò che nel corpo è l’anima, questo sono i cristiani nel mondo” (Cap. V, 7; Funk 1,318). Secondo il Papa polacco, la famiglia dei primi cristiani, la “Chiesa domestica” di ieri e di oggi, è intima comunione di vita e di amore (cfr. Cost. past. Gaudium et spes, n. 48), chiamata ad una partecipazione attiva alla missione della Chiesa ed alla vita della stessa società, resa capace di offrire una testimonianza convincente della possibilità e della gioia della fedeltà coniugale e della educazione dei figli, in modo pienamente conforme al disegno di Dio (cfr. Discorso a Sainte Anne d’Auray – Francia – del 20.09.1996).

Dinnanzi alle correnti di pensiero inficiate dall’utilitarismo e dal relativismo esistenziale, ribadiva che era necessaria nella Chiesa una testimonianza e una catechesi più attenta e più profonda sulla famiglia e per la famiglia, che potesse offrire e spiegare, anche ai giovani ed ai fidanzati, la verità sul matrimonio con una visione antropologica ancorata sulla legge naturale e sul mistero di Cristo e che sappesse rigettare, perché irrazionale, la pretesa di “cosificare” i coniugi, i figli, la vita degli embrioni, asserviti a progetti e finalità che ledono gravemente il bene dell’uomo e della società (cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Post-sinodale Ecclesia in Europa, n. 91-92).

Era già divenuta cronaca di quegli anni novanta la richiesta di forme di riconoscimento legale delle convivenze di fatto per equipararle ai matrimoni legittimi, ed i tentativi di approvare legalmente modelli di coppia dove la differenza sessuale non risulta essenziale. L’equiparazione del matrimonio con altre forme di convivenza – scriveva – è un attentato alla sacralità del matrimonio ed una grave Giotto-SPOSALIZIO-DI-MARIAviolazione del suo profondo valore nel disegno di Dio per gli uomini (cfr. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 3).

Ricordava che tutti i cristiani sono specialmente chiamati a difendere la famiglia promuovendo in diversi modi, secondo i differenti carismi vocazionali e la missione loro affidata, un’adeguata ed organica testimonianza e catechesi su di essa, nelle rispettive comunità ecclesiali, in famiglia e nel mondo del lavoro (cfr. Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, n. 47). “Ha particolare importanza – diceva – la necessità di sostenere il valore della unicità del matrimonio, come unione per tutta la vita tra un uomo e una donna, nella quale, come marito e moglie, essi partecipano all’amorevole opera di creazione di Dio” (cfr. Discorso di Giovanni Paolo II nella Udienza alla Conferenza episcopale d’Inghilterra e Galles, visita ad limina Apostolorum del  23.11.2003, n. 5).

3. L’uomo e la società civile

Secondo Giovanni Paolo II la crisi della fede, che in misura crescente affligge la cristianità, diviene, anche nello Stato, crisi dei valori fondamentali della vita e della persona umana. Egli denunciava il relativismo, il pragmatismo e l’individualismo che giungevano a fare dello Stato di diritto un surrogato della moralità. Così il metodo partecipativo alla cosa pubblica, in numerose democrazie, corre il rischio di trasformarsi in un principio morale assoluto, volendo fondare il bene ed il male sul consenso e sul voto di maggioranza. E in questo contesto, richiamava la responsabilità dei fedeli laici ad intervenire fattivamente nella società civile. “Sbagliano – diceva con parole della Costituzione pastorale Gaudium et spes – coloro che, sapendo che qui non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano di poter per questo trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno” (n. 43: EV 1/1454).

Nella sua Esortazione apostolica Christifideles laici si legge: “I fedeli laici non possono affatto abdicare alla partecipazione alla politica, ossia alla molteplice e varia azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale destinata a promuovere organicamente ed istituzionalmente il bene comune” (n. 42: EV 11/1787). Non è ingerenza indebita della Chiesa nelle competenze proprie dello Stato il proclamare la retta concezione della persona umana ai Governanti ed ai responsabili degli Stati, per la tutela di quei diritti fondamentali ed inalienabili della persona umana che – come insegna il Concilio Vaticano II – “è condizione perché i cittadini, individualmente o in gruppo, possano partecipare attivamente alla vita e al governo della cosa pubblica” (Cost. past. Gaudium et Spes, n. 73: EV 1/1563).

BuonGoverno4Scriveva che la Chiesa deve affermare con fermezza che leggi ed istituzioni che contraddicono i valori morali essenziali della persona umana “non sono giustizia ma regolamentano la ingiustizia e per questo perdono il carattere di diritto” (cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae, n.73). E aggiungeva che non è compito della Chiesa formulare soluzioni concrete – e meno ancora soluzioni uniche – per questioni temporali, che Dio ha lasciato al libero e responsabile giudizio di ciascuno, ma che è suo diritto e dovere pronunciare giudizi morali su realtà temporali quando ciò sia richiesto dalla fede o dalla legge morale (cfr. Cost. past. Gaudium et Spes, n. 76: EV 1/1583).

In questa prospettiva, egli ribadiva che la Chiesa adopera la sua dottrina sociale non come una terza via tra capitalismo liberista e collettivismo marxista, ma come una teologia, una teologia morale fondata sul Vangelo: essa non è una ideologia ma una dottrina che interpreta le realtà molteplici delle forme sociali ed orienta, con la luce del Vangelo, i cittadini a perseguire pienamente ed integralmente il bene comune in una società sicura, solidale, capace di costruire e mantenere la pace nella carità (cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, n. 41).

Ricordo che in occasione della firma della Costituzione Europea avvenuta a Roma il 29 ottobre 2004, giunsero a Roma venticinque Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea. In quella circostanza, Giovanni Paolo II ebbe modo non solamente di esprimere sentimenti di speranza e di auspicio per una duratura unità tra i Paesi firmatari – unità nel perseguire e difendere il vero bene dell’uomo e della società -, ma anche di osservare quanto fosse diffuso in alcuni Paesi quel relativismo etico ed esistenziale che sfociava nella così detta dittatura laicista, che invoca il valore della tolleranza per la difesa della falsità e della menzogna (cfr. Congregazione per la Dottrina della fede, Nota dottrinale su alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, n. 2).

Sottolineava che era facilmente verificabile da parte di molti quella intransigenza di alcuni Stati che mina il rispetto delle coscienze dei cittadini cattolici e del pluralismo delle scelte, anche in campo religioso, e che sancisce nei modi più svariati  la decadenza della ragione e dei principi della legge morale naturale, in nome di una rivendicazione ad oltranza di una assoluta autonomia dell’uomo moderno dai principi dell’etica naturale stessa.

Posso ben dire, e lo faccio con espressioni e citazioni di Benedetto XVI, che si ripresenta ancora oggi, nella cultura post moderna, il sogno di Rousseau della libertà totale senza alcuna regola (cfr. R. Speaman, RousseauBürger ohne Vaterland. Von der Polis zur Natur, München 1980), di quella falsa libertà che riemerge in Nietzche, per il quale gli ordinamenti della ragione, simboleggiati da Apollo, avrebbero corrotto la libera, illimitata ebbrezza della natura umana (cfr. P. Koster, Der sterbender Gott. Nietzsches Entwurf übermenschlicher Grösse, Meisenheim 1972).

Ed in relazione alla giustizia e della solidarietà tra le Nazioni, osservava Giovanni Paolo II che, in un mondo fattosi globale, specialmente nella comunicazione e nella informazione, la disuguaglianza delle risorse e dei mezzi economici aveva ampliato il fossato tra i paesi ricchi e quelli poveri: si era così evidenziata la nuova discriminazione di molti Paesi all’accesso alle conoscenze scientifiche, industriali ed innovative, discriminazione che apriva problematiche di sussistenza e di sicurezza a livello internazionale.

Beato_angelico,_predella_della_pala_di_fiesole_02Sosteneva, e qui concludo questa tematica, che la Chiesa ha urgente bisogno di santi, che “forgiati” dai Sacramenti e resi così araldi della fede e testimoni credibili di Cristo, possano offrire a tutti gli uomini la sapienza e l’arte del vivere secondo Dio. “In un mondo inquieto e diviso, segnato da violenza e da conflitti, c’è chi si chiede se sia ancora possibile parlare di speranza – diceva, rivolgendosi ai più di mille Congressisti convenuti a Malta per un Convegno ecclesiale, collegandosi dal Palazzo Apostolico Vaticano in video-conferenza – Ma proprio in questo momento è indispensabile presentare con coraggio la vera e piena speranza dell’uomo, che è Cristo Signore” (Giovanni Paolo II, Discorso del 21.10.2004 dalla Sala del Concistoro, Città del Vaticano, n. 3).

4. L’uomo e il multiculturalismo

Leggiamo in Sant’Ireneo: “Come il sole, creatura di Dio, è unico in tutto l’universo, così la predicazione della verità brilla ovunque e illumina tutti gli uomini che vogliono giungere alla conoscenza della verità… Si tratti di un grande oratore o di un misero parlatore, tutti insegnano la medesima verità. Nessuno sminuisce il valore della tradizione. Unica e identica è la fede. Perciò né il facondo può arricchirla, né il balbuziente impoverirla” (Contro le eresie, 1,10,3).

La Chiesa è consapevole della grande responsabilità di vivificare tutte le culture del mondo, in modo particolare le ricerche filosofiche e giuridiche, per aiutare l’uomo contemporaneo, di ogni razza e condizione, a meglio percepire la verità e a risvegliare l’anelito di Dio, spesso assopito nel suo intimo.

Nel suo alto Magistero, Giovanni Paolo II ha proclamato che la cultura cristiana ha la missione di fecondare, con la verità, ogni ambito culturale, purificandolo ed elevandolo ad espressione della dignità propria della persona umana. Egli ha ricordato che, soprattutto in campo morale, le culture permeate dal consequenzialismo e dal proporzionalismo portano ad uno scetticismo circa tutto ciò che riguarda propriamente la natura dell’uomo. Per queste culture, la moralità dell’agire non sarebbe determinata dal contenuto dell’atto in quanto tale ma dal suo scopo e dalle sue conseguenze prevedibili.

Il cristiano testimonia nella cultura dell’efficientismo pragmatico che, prima di essere giusto, l’uomo è un peccatore perdonato, e che egli non può sopportare il peso schiacciante della così detta autonomia dalle norme morali oggettive, come se dovesse calcolare in ogni momento il miglioramento o il peggioramento dello stato del mondo, conseguentemente alle sue azioni personali.

Il cristiano proclama che la libertà non è facoltà di fare ciò che è possibile, ma la facoltà di realizzare ciò che è conforme alla sua natura di immagine di Dio e alla sua vocazione di essere figlio di Dio. Il cristiano, in definitiva, diffonde la religione cristiana, che è la religione del Logos per mezzo del quale tutto è stato creato, affermando, con le parole e con la vita, che soltanto la ragione creatrice incarnata – che nel Dio crocifisso si è manifestata come amore – , può costituire la radice della cultura degna dell’uomo.

Giovanni Paolo II ha ribadito che il credente è chiamato a gettare ponti sull’abisso di questo relativismo culturale e a costruirli questi ponti con una capacità di portata sufficiente a sopportare il peso delle grandi sfide davanti alle quali si trova l’umanità, così esperta nel fare ma così povera nell’arte dell’essere e del vivere secondo verità.

Per lui la cultura cristiana, dovunque, ma specialmente nelle nuove frontiere del pensiero post moderno, deve poter sempre di più proclamare che la coscienza umana è la capacità di aprirsi all’appello della verità oggettiva, universale ed uguale per tutte le razze e latitudini, e che tutti possono e debbono cercare. Questa cultura non è isolamento ma, al contrario, comunione: cum scire nella verità sul bene che accomuna gli uomini nell’intimo della loro natura trascendente.

È in questo rapporto con la verità oggettiva e comune che la cultura cristiana trova la sua giustificazione e dignità, protesa alla formazione della coscienza dell’uomo e portata al sentire cum Ecclesia e quindi con un riferimento solido al Magistero autentico della Chiesa. Socrate aveva affermato: “Non il vivere è da tenere in sommo conto, ma il vivere bene”: la cultura cristiana è la via del vivere bene in Cristo.

Giovanni Paolo II ha sostenuto che dinanzi ai tre tipi di conflitti culturali esistenti nel mondo, vale a dire conflitti di interessi economici, di identità e di valori, solamente il primo può essere risolto con meri accordi negoziali, ma non certamente il secondo ed il terzo che, se non risolti dall’uomo nella giustizia e con carità, possono portare a conflitti di civiltà.

«Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole… Poi dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci per tutta la terra”» (Gn 11,1.4). Il testo genesiaco ci dice che dopo la orgogliosa iniziativa della torre di Babele, segno di una ricerca di unità al di fuori del progetto salvifico di Dio e del rifiuto dei propri limiti creaturali, l’uomo sperimenta l’esistenza di un mondo multietnico e multiculturale (cfr. Gn 11,1-19). Ma questa dispersione dell’uomo su tutta la terra e la molteplicità delle lingue, con la incarnazione del Verbo di Dio sono state redente e trasformate in cammino per una piena ed integrale realizzazione della persona umana.

La cultura cristiana è chiamata a parlare a tutte le razze con l’unica lingua del Vangelo di salvezza, mediante la traditio Evangelii, facendo conoscere la dynamis Theou secondo il significato paolino, vale a dire “la forza di Dio per la salvezza di tutti i credenti” (Rm 1,16), sino agli estremi confini della terra, inculturandola nelle varie regioni del mondo e facendo sorgere nel mondo un’unica razza, quella dei figli di Dio. Ha detto al riguardo Giovanni Paolo II: “Il messaggio del Vangelo è per l’uomo di ogni razza e cultura, perché gli sia faro di luce e di salvezza nelle diverse situazioni in cui si trova a vivere” (Discorso al Congresso Internazionale per il XXV Anniversario di  Pontificato, 9.5.2003).

5. Conclusione:  lo scontro delle culture non sarà scontro delle grandi religioni

Il Pontefice polacco poneva due quesiti: perché la attuale cultura razionalista, di origine illuminista, ha pretese di universalità? Questa volontà è forse radicata nello scientismo con il quale si pretende di esprimere “la ragione comune” a tutti gli uomini?

Entrambi i quesiti fanno riferimento alla cultura laicista che ha l’ardire di essere cultura della libertà e della democrazia per tutti i popoli ma cade, invece, in preda al dogmatismo e al totalitarismo, perché si crede in possesso delle definitiva conoscenza della ragione ed con il diritto di stabilire, in piena autonomia, ciò che è bene  e ciò che è male per l’umanità.

Rispondeva Giovanni Paolo II che la cultura razionalista e laicista sono inficiate da una confusa ideologia della libertà che sfocia in un integralismo che si rivela sempre più ostile alla verità sull’uomo e sulla sua vita. Questa ideologia costituisce l’humus da cui si alimentano la maggior parte delle attuali divisioni, dei sospetti e delle incomprensioni tra i popoli. Queste culture ricercano una emancipazione dell’uomo da ogni condizionamento, professando una filosofia positivista antimetafisica che recide ogni trascendenza dell’uomo e, conseguentemente, autolimitano la sua stessa ragione. Esse, in definitiva, producono una grave mutilazione della persona umana perché la recidono dalla radice della propria somma dignità: l’essere creatura del Dio-amore, chiamata alla felicità nella comunione con Lui.

Giovanni Paolo II ha spiegato teologicamente che la cultura razionalista, prescindendo dall’ethos insito nella natura dell’uomo, porta alle estreme conseguenze il lemma kantiano: sapere aude! Questa cultura afferma: “Osa fare uso tu stesso della tua ragione, interrogandoti unicamente sulla possibilità di fare e prescindendo dalla liceità. Ciò che è possibile fare, per te è anche lecito fare”. Così la ricerca della libertà senza la verità cade nel deserto dell’integralismo fanatico, facendo sì che la soggettività venga elevata a criterio ultimo dell’agire, deificando la soggettività stessa di cui la coscienza si trasforma in oracolo infallibile, che non può essere messo in discussione da niente e da nessuno (cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Veritatis Splendor, n. 57).

L’accantonamento delle radici cristiane, specialmente in Europa, diceva l’allora Card. Joseph Ratzinger, “non si rivela espressione di una superiore tolleranza che rispetta tutte le culture allo stesso modo non volendo privilegiarne alcuna, bensì come l’assolutizzazione di un pensare e di un vivere che si contrappongono radicalmente, fra l’altro, alle culture storiche dell’umanità”  (La crisi delle culture: in  L’Europa di Benedetto, L.E.V. ed Ed. Cantagalli, Roma-Siena, maggio 2005, p. 53).

E in tal senso, sottolineava Giovanni Paolo II, la vera contrapposizione che caratterizzerà il mondo del terzo millennio non sarà quella tra le diverse culture religiose (cfr. Conc. Ecum Vat. II, Dichiarazione Nostra Aetate del 28.11.1965 e Dichiarazione Dignitatis Humanae del 7.12 1965, nn. 2,4,5) bensì quella che da una parte pretenderà una radicale emancipazione dell’uomo da Dio e dalle radici della sua vita, e dall’altra le grandi culture religiose.

In tale prospettiva, lo scontro delle culture non sarà scontro delle grandi religioni. Le religioni hanno sempre riscoperto la sapienza divina della convivenza nella pace, nella comprensione e nel perdono. Non è la menzione di Dio che offende le razze umane e le loro culture ma piuttosto il tentativo di costruire la comunità umana assolutamente senza Dio.

Concludo affermando che la Chiesa è chiamata, con l’urgenza della carità di Cristo, ad evitare lo scontro della cultura relativista e secolarizzante dell’Occidente e dell’Oriente – che professa il rifiuto di ogni riferimento a Dio – contro le grandi culture storiche dell’umanità (cfr. Giovanni Paolo II, Discorso nell’incontro con i Rettori delle Istituzioni accademiche, Torun, Polonia, 7.6.1999). È chiamata a farlo sanando le divergenze tra la ragione e la fede: in tale divergenza si esprime uno dei grandi drammi dell’uomo di oggi. La scissione tra fede e ragione ha già arrecato troppi danni non soltanto alle religioni ma anche a tutte le culture.

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